Sarebbe pleonastico ribadire che ogni traguardo scientifico rappresenti una forma di evoluzione dell’uomo e della società, ma spesso accade che essi oltrepassino il limite dell’umanità. Se volgiamo lo sguardo al passato, anche invenzioni quali l’aereo, la stampa o la radio erano senz’altro delle idee che sfioravano la fantascienza, mentre oggi essi sono diventati oggetti di uso quotidiano, indispensabili quanto comuni. Così ragionando, anche l’intelligenza artificiale non può che essere valutata positivamente.

Tuttavia, preme notare il fatto che, al contrario delle invenzioni del passato, essa rischia di non porsi come aiuto all’uomo, ma di sostituire l’azione umana. Se, ad esempio, l’idea di realizzare un oggetto come l’aereo nacque dal grande desiderio umano di poter volare (già Icaro diede la sua vita per avverare questo sogno) e portò alla creazione di uno strumento gestito dall’uomo, l’idea di creare un algoritmo informatico in grado di apprendere azioni umane per sostituire l’uomo stesso in alcune attività desta non poche perplessità. Si pensi, ad esempio, ad un robot che impari a cucinare la pizza: quest’idea, peraltro già realizzata, può apparire affascinante, ma quanti pizzaioli potrebbe sostituire? E lo stesso discorso vale per applicazioni, quali Chat GPT, in grado di scrivere libri e articoli sulla base delle richieste che gli vengono impartite. Quanti scrittori e giornalisti verrebbero rimpiazzati? E se queste applicazioni dell’intelligenza artificiale fossero estese ad altri settori più delicati, quali la difesa, quali conseguenze potrebbero determinare? 

Mi viene in mente un film del 1983, “Wargames”, in cui il giovane protagonista, Matthew Broderick, riesce a superare i sistemi di sicurezza del NORAD e, pensando di giocare una partita ad un videogioco chiamato “Guerra termonucleare globale”, attiva un supercomputer che, non discriminando tra realtà virtuale e realtà effettiva, continua a segnalare operazioni d’attacco da parte dei Sovietici, scatenando allarmi generali della difesa americana, oramai convinta di essere prossima ad una guerra nucleare. In passato, molti scrittori o registi hanno anticipato invenzioni future per mezzo della loro immaginazione (basti pensare a Isaac Asimov e i robot). Perché, dunque, non potrebbe valere anche per l’intelligenza artificiale? 

Orazio diceva: “Est modus in rebus”, intendendo, così, affermare il principio che c’è una misura in ogni cosa e credo che, proprio con riferimento all’intelligenza artificiale, tale massima dovrebbe tracciare il sentiero per cercare di regolamentare il suo utilizzo. Ma proprio sul tema della regolamentazione, emergono non poche criticità derivanti in primis dalle diverse tempistiche per l’emanazione di un regolamento e per la velocità dei progressi tecnologici: è noto, infatti, come l’informatica sia in grado di evolvere con estrema frequenza (si pensi, ad esempio, agli aggiornamenti dei sistemi operativi e ai nuovi modelli dei cellulari). Regolamentare, invece, richiede tempo e l’orizzonte temporale necessario corrisponde a diverse generazioni tecnologiche. E, di conseguenza, su cosa occorre prestare maggior attenzione? Sulle conseguenze che potrebbero subire i livelli occupazionali? O, invece, sulle evidenti limitazioni alla privacy dell’umanità (si pensi agli algoritmi che, per contrastare fenomeni delittuosi, potrebbero essere utilizzati per il riconoscimento facciale)? O l’unico obiettivo delle norme regolatrici dovrebbero limitarsi ad impedire l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in sostituzione di funzioni particolari (il governo, la difesa, la salute, la giustizia)?

Credo fermamente nell’importanza dei progressi scientifici, purché questi siano un mezzo per l’evoluzione dell’umanità e non un fine per sostituire l’essere umano. Questo è il rischio che più di ogni altra cosa mi terrorizza.

Riflettendo, però, mi è venuto in mente un passaggio del film “Will Hunting-Genio ribelle”, in cui Robin Williams, uno psicologo incaricato di “recuperare” il giovane Matt Damon, giovane delinquente ma dotato di incredibile intelligenza, lo ammonisce così:

“Se ti chiedessi sull’arte probabilmente mi citeresti tutti i libri di arte mai scritti… Michelangelo; sai tante cose su di lui, le sue opere, le aspirazioni politiche, lui e il papa, le sue tendenze sessuali… tutto quanto vero?!? Ma scommetto che non sai dirmi che odore c’è nella cappella Sistina; non sei mai stato lì con la testa rivolta verso quel bellissimo soffitto… mai visto…”

E proprio il ricordo di questo film mi ha tranquillizzata: nessuna macchina, per quanto perfetta, potrà mai sostituire l’uomo, perché, pur dotata di infinita intelligenza, manca dell’anima e del vissuto tipico di ogni essere umano.

Isabelle Orazi

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